Quando si parla della Seconda Guerra Mondiale, oggi questa viene subito associata alla Shoah e le due storie si fondono una con l’altra alla pari. Ma non è sempre stato così. Nel 1945 l’esodo forzato degli ebrei e i campi di sterminio apparivano come un fenomeno marginale all’interno di una guerra che aveva distrutto un continente e causato milioni di morti tra civili e militari. Nei processi contro i crimini di guerra compiuti dai nazisti tenutisi a Norimberga subito dopo il conflitto, lo sterminio degli ebrei venne catalogato come reato contro l’umanità, ma non fu mai posto al centro dell’attenzione, rimanendo uno dei tanti commessi dal regime hitleriano. Addirittura Alessandra Minerbi e Michele Sarfatti, in un articolo intitolato L’era dei musei della Shoah. Sei recenti allestimenti, sostengono che gli stessi processi «pur importante momento di conoscenza e riflessione sulla gravità di quanto era accaduto, tesero a scagionare la società civile nel suo insieme, facendo sì che i singoli non facessero i conti con il proprio passato».[1]
Nell’Europa continentale la cultura era, a quel tempo, dominata dall’antifascismo. Infatti si può notare come in quegli anni il simbolo delle barbarie del regime tedesco non fosse Auschwitz, ma Buchenwald, in quanto era il campo dove si trovava il numero maggiore di oppositori politici. Il ricordo era riservato a coloro che avevano combattuto durante la guerra e non vi era spazio per altri, neppure per i protagonisti della Shoah. Ciò spiega perché l’argomento fosse quasi interamente taciuto e, quei pochi intellettuali che ne parlavano, lo utilizzassero solo con lo scopo di contrapporre la luce dell’antifascismo rispetto agli anni bui del nazismo.
Il primo momento in cui si ruppe questo silenzio fu il processo ad Adolf Eichmann del 1961 tenutosi all’interno dello Stato d’Israele. Questo avvenne sotto gli occhi dell’opinione pubblica internazionale in quanto fu seguito dalla televisione e, grazie a questa, il mondo intero rimase segnato da ciò che ne emerse, poiché vennero riportati alla luce i dettagli della macchina di sterminio. I testimoni, sfuggiti alla morte, hanno qui potuto denunciare apertamente ciò che avevano subito. Da questo momento in poi, si è innescato un lungo percorso di scoperta delle peculiarità della Shoah fino a diventare, negli anni Settanta, tema centrale di riflessione storiografica riguardo alla Seconda Guerra Mondiale.
È tuttavia a seguito del crollo del muro di Berlino, e quindi durante gli anni Novanta, che assistiamo a una vera e propria istituzionalizzazione del ricordo da parte di numerosi stati occidentali, nel tentativo di improntare una politica comune verso questo argomento, preso gradualmente come punto di riferimento negativo a livello mondiale.
Proprio in quest’ottica, grazie ad accordi tra Svezia, Gran Bretagna e Stati Uniti d’America, si diede vita nel 1998 alla Task Force for International Cooperation on Holocaust Education, Remembrance and Research, che nel 2013 cambiò nome in International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA), con lo scopo di rafforzare, promuovere e divulgare l’educazione e la ricerca sulla Shoah e il ricordo in tutto il mondo. Ad oggi aderiscono 31 paesi al progetto.

Dal 26 al 28 gennaio 2000 si tenne il Forum internazionale di Stoccolma sull’Olocausto per celebrare il 55º anniversario della liberazione del campo di Auschwitz. Vi hanno partecipato 45 paesi con personalità di spicco tra storici, politici e capi di stato. Yehuda Bauer è stato invitato a dirigere il comitato accademico, mentre il premio Nobel prof. Elie Wiesel nominato Presidente Onorario del Forum. Qui venne approvata all’unanimità la Dichiarazione del Forum di Stoccolma in otto punti qui riportati.
Il punto 6 della dichiarazione mostra la volontà da parte di questi Paesi di dedicare un giorno dell’anno al ricordo della Shoah; tant’è che in Italia, con la legge del 20 luglio 2000, n. 211, è stato istituito il Giorno della Memoria, facendolo coincidere con la liberazione del campo di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio. Il desiderio da parte delle nazioni di istituire una data per ricordare venne seguito poi dal bisogno di allestire dei luoghi che riportassero alla mente l’accaduto. Assistiamo così alla nascita di numerosi memoriali e musei in tutto l’Occidente.
In Italia, il primo progetto per la realizzazione di un museo dedicato alla Shoah nacque nel 2001 a seguito della già menzionata legge del 20 luglio 2000, n. 211, la quale andava a istituire la Giornata della Memoria. L’allora sottosegretario ai Beni Culturali, Vittorio Sgarbi, propose l’idea di realizzare un Museo Nazionale della Shoah nella sua città natale, Ferrara. Il progetto fu approvato dal Parlamento con la legge del 17 aprile 2003; tuttavia, per i successivi tre anni, i lavori rimasero fermi senza neanche partire.

Nel frattempo, nel 2006, l’allora sindaco di Roma Walter Veltroni deliberò l’istituzione di un museo della Shoah che andasse a fare concorrenza al progetto emiliano. Nell’ottobre dello stesso anno si giunse a un compromesso tra le due città: a Roma sarebbe nato il Museo della Shoah, mentre quello di Ferrara sarebbe diventato il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano. Nonostante ciò l’opinione pubblica ferrarese si oppose a questa soluzione in quanto voleva avere un primato sul tema della Shoah. Il Parlamento dovette alla fine intervenire con la legge del 27 dicembre 2006 n. 296, modificando il nome del museo di Ferrara in Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah. Quest’ultimo, nonostante la volontà e gli sforzi del Governo e del Comune, risulta essere un museo riguardante solo marginalmente la Shoah e relativo invece alla popolazione e cultura ebraica italiana.

Il discorso sul Museo della Shoah di Roma è ancora diverso; nonostante la nascita della Fondazione del Museo risalga al 2008, purtroppo per motivi burocratici e comunali la mostra è stata aperta solo di recente. Addirittura, nell’estate del 2015, sono sorte numerose polemiche (protagonisti anche gli stessi sopravvissuti) per la mancata realizzazione del sito. Si raccolsero firme per abbandonare il progetto originale, che prevedeva la realizzazione di una nuova struttura presso Villa Torlonia, sposando invece l’idea di creare un nuovo museo all’interno del quartiere EUR. Nonostante questo, però, il Comune ha ribadito che la struttura sorgerà a Villa Torlonia e, nell’attesa della realizzazione del progetto, ha messo a disposizione una palazzina, chiamata Casina dei Vallati, situata nel Portico d’Ottavia, all’interno del vecchio ghetto ebraico della città. Ad oggi, quindi, la situazione non è ancora cambiata e non si capisce se il progetto originario sia stato abbandonato o meno.
Arriviamo ora all’ultima opera adibita al ricordo: Il Memoriale della Shoah di Milano. Non si può parlare del Memoriale se non si ha presente il luogo in cui sorge e il contesto storico a cui è legato. Esso nasce all’interno dei locali sotterranei di Stazione Centrale di Milano, un tempo in gestione alle Regie Poste e adibiti al carico/scarico dei treni merci. Infatti, la prima differenza risiede proprio nel fatto che questo prende vita all’interno di un sito direttamente coinvolto nella Shoah, rendendolo unico nel suo genere. Da qui partirono 20 convogli con lo scopo di deportare ebrei e oppositori politici.
Questo luogo rimase in gestione alle Poste fino alla fine degli anni Ottanta, e, una volta chiuse, il locale venne abbandonato diventando uno dei tanti vuoti urbani della città. Nel 2002 il Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, la Comunità Ebraica di Milano, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), l’associazione Figli della Shoah e la Comunità di Sant’Egidio portarono avanti l’idea di dare vita ad un progetto che riportasse alla memoria l’unico luogo in Europa rimasto intatto tra quelli che sono stati teatro delle deportazioni. Nel novembre del 2004 fu presentata una prima bozza preliminare alla società Grandi Stazioni, la quale ha tuttora la gestione della totalità dei locali della Stazione Centrale di Milano. La stessa proposta sarà poi presentata nel luglio del 2005 alla Presidenza della Repubblica Italiana.
Proprio con lo scopo di interloquire davanti alle istanze politiche nel 2007 nascerà la Fondazione Memoriale della Shoah di Milano Onlus, la quale verrà presieduta da Ferruccio de Bortoli e sarà composta dalle cinque associazioni sopra elencate più la Regione Lombardia, la Provincia di Milano, il Comune di Milano e le Ferrovie dello Stato.[2]
Sarà proprio in questo momento che verrà dato allo studio di architettura Morpurgo de Curtis l’incarico di creare un progetto vero e proprio di ristrutturazione dell’intera area, per un totale di circa 7000 metri quadrati. Il progetto che ne viene fuori è un qualcosa che va ben oltre a un museo. L’idea è quella di accorpare all’interno del Memoriale non solo lo spazio adibito alla mostra permanente, ma anche il CDEC e l’associazione Figli della Shoah, facendo di questo luogo un centro di cultura e di dibattito. Il progetto prevede una sorta di “scavo archeologico”, come lo stesso Guido Morpurgo ha dichiarato in più conferenze: gli architetti, infatti, si prefiggono lo scopo di riportare questi locali a come erano in origine.
Il 26 gennaio 2010 (con la cerimonia della posa della prima pietra) iniziano ufficialmente i lavori. Tuttavia, il progetto richiederà più soldi del previsto e già a fine anno i fondi stanziati saranno finiti. Grazie a donazioni di privati (tra cui è giusto ricordare Bernardo Caprotti a cui è stato dedicato lo spazio riservato alle mostre temporanee) i lavori riprenderanno all’inizio dell’anno seguente. Procederanno comunque molto a rilento, tanto che sono tutt’oggi ancora in corso. Attualmente sono accessibili al pubblico solo il livello superiore, che contiene la mostra permanente, inaugurata il 27 gennaio del 2013, e l’Auditorium al piano interrato intitolato a Joseph e Jeanne Nissim, inaugurato nell’ottobre dello stesso anno. La Fondazione ha comunicato poche settimane fa tramite canali social la ripresa dei lavori per portare finalmente a termine il progetto.

Si capisce tuttavia come, su tre siti dedicati alla Memoria, l’Italia non sia attualmente riuscita a portarne a termine nemmeno uno, trovandosi quindi molto indietro rispetto agli altri Paesi occidentali.
[1] Cit. articolo di Alessandra Minerbi, Michele Sarfatti, L’era dei musei della Shoah. Sei recenti allestimenti, all’interno di “Italia contemporanea” dicembre 2007 n. 249.
[2]Articolo n.8 Statuto del Memoriale della Shoah di Milano, consultabile in: http://www.cittametropolitana.mi.it/export/sites/default/portale/conosci_la_citta_metropolitana/Nomine/Statuti/STATUTO_FondazioneMemorialeShoah.pdf