Se, come recita un noto motivetto tanto caro ai bambini, quell’anziana signora dalle calze rotte che arriva la notte del 6 gennaio porta con sé la fine delle festività natalizie, un’altra figura femminile dal volto altrettanto brutto e rugoso è la protagonista di una celebrazione di inizio anno un po’ meno diffusa, ma ugualmente tradizionale: la festa della Gioeübia.
Questa volta però, ad attendere grandi e piccini non ci sono calze ripiene di caramelle o di carbone, ma solamente un simbolico falò in cui bruciare il fantoccio di una strega. Diventata nel corso del tempo un vero e proprio appuntamento folkloristico, la ricorrenza è particolarmente sentita in Lombardia (con predilezione per la zona della Brianza, del Varesotto e del Comasco) e in alcune aree del Piemonte.

Questo antico rito di origine precristiana viene tipicamente celebrato l’ultimo giovedì di gennaio, motivo per cui, vista l’assenza di fonti scritte in merito, si potrebbe ricollegare il termine Gioeübia a Jupiter-Jovis (Giove), quindi giovedì: dal termine sarebbe poi stato coniato l’aggettivo Giovia, per indicare proprio le feste contadine di inizio anno indette per propiziarsi i raccolti. Restano comunque molteplici interpretazioni intorno alla nascita di questa festa, da quelle che la associano al culto della divinità di Giunone (da cui il nome Jovian), ad altre che la fanno risalire alle tradizioni celtiche, quando fantocci di vimini intrecciato venivano dati alle fiamme dai sacerdoti druidi per assicurarsi il favore degli dei in battaglia o per ottenere influssi benevoli nelle stagioni della semina e dei raccolti. Non mancano poi coloro che citano invece i primi sacerdoti cristiani, che, intorno al IV secolo d.C, bruciavano simbolicamente le divinità pagane.
Dovunque stia la verità, resta innegabile come il termine Gioeübia, Zobia, Zobiana, Giobbia, Giobbiana, Giubiana, Gibiana (o dir si voglia, in base al dialetto locale) significhi universalmente una cosa sola: strega.
Già, perché è proprio lei la figura di spicco di questa celebrazione, che, oltre a divertire i partecipanti creando all’istante un clima di festa, ricopre simbolicamente il ruolo di rito propiziatorio attraverso cui condannare il vecchio anno con tutto il suo carico di negatività, per favorire una rinascita in quello venturo e trarre buoni auspici per il futuro.

Secondo la leggenda maggiormente diffusasi nel corso del tempo (sebbene anche qui esistano versioni differenti), una strega magra, con le gambe molto lunghe e le calze rosse viveva in mezzo ai boschi, spostandosi di albero in albero alla ricerca di bambini da spaventare. L’ultimo giovedì di gennaio era fra tutti il giorno più brutto perché la fattucchiera, non contenta, si metteva alla ricerca di una giovane preda, ma questa volta per mangiarla. Un’arguta mamma, però, le tese una trappola. Come la versione popolare racconta, preparò una pentola di risotto con zafferano e luganega e la mise sulla finestra. La strega, attirata dal buon odore, si fiondò sulla pietanza e iniziò a divorarla con così tanta foga da dimenticarsi che stava per sorgere il sole, in grado di uccidere tutte le streghe. Fu così che, grazie a questo espediente, il bambino fu salvo.
Ma come si festeggia oggi la festa della Gioeübia?

Sebbene ogni Comune personalizzi l’evento secondo i costumi locali, la celebrazione tradizionale è rimasta pressoché invariata. Adulti e bambini costruiscono i loro fantocci con paglia, legno e stracci finché, all’imbrunire, il falò viene finalmente acceso: ecco allora che tutti i mali, gli errori, le colpe e l’intero bagaglio di cose negative vengono bruciati insieme alle Gioeübie. Talvolta, qualcuno getta nel falò bigliettini che ricordino quei tormenti vissuti che, così come la carta, saranno inceneriti dal fuoco. Solamente alla fine di questa procedura il falò lascia posto a un momento di festa e convivialità, trasformandosi in un’occasione per divertirsi in compagnia fra le strade e le piazze del proprio paese. Ora che l’anno passato è stato bruciato insieme al suo lato più infausto, ci si può finalmente proiettare verso l’inizio di quello nuovo, brindando con un buon bicchiere di vin brulé a un rigoglioso futuro carico di positività, il tutto mentre si assapora un piatto della tradizione lombarda tanto gustoso quanto salvifico. Quale? Ovviamente il risotto con zafferano e luganega!
Grazie! Articolo interessantissimo
Anna Loi
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